24 novembre 2006

la ale...

tornerà, sta già tornando?
non vedo l'ora di vedere le foto, sicuramente diagonali, certamente piene di colori.. ma si in fondo , nn vedo l'ora di riveder anche lei! :-)

21 novembre 2006

La Torre: positivo scontro con la realtà.

Settimana dei crolli.
Crollano i miei stupidi muri. Cioè, mi sono franati addosso, io quasi non c'entro. C'entro solo perchè c'ero. Boh.

Ieri, dopo 18 mesi di silenzio, ho incontrato Alberto.
E' stata, a pensarci, una casualità incredibile, una trama da sliding doors.

La mattina esco tardissimo da casa, mi fiondo alla fermata ma non arriva nessun cazzo di autobus. Smadonnando mi avvio a piedi verso la stazione, con le dita piene di vesciche (maledette all stars!) A costo di perdere il treno devo fermarmi ed aspettare un bus, non ce la faccio. Troppo male. Finalmente arriva, uno qualsiasi, salgo e dopo due fermate sale il controllore. Impreco contro il mondo, contro le gufate di pochi giorni prima, contro tutti. Non ho il biglietto, ovviamente. Ma mi fa infuriare il fatto che perderò il treno, mentre mi fanno la multa. Ed è uno scazzo assurdo. Invece, miracolo, il controllore si ferma qualche secondo di più a chiacchierare con l'autista e intanto l'autobus si ferma davanti la stazione, si aprono le porte e io scendo a razzo, felicissima. Corro al binario, mi aggrappo al treno con la lingua di fuori, che subito parte. Fiuuu. Arrivo a Peschiera e mia mamma viene a recuperarmi in ritardo. Non so per qualce oscuro motivo (dopo che le ho detto mille volte che non voglio passare di là) passa davanti al bar di Pacengo, e ci sono mille persone che fuori dalla porta, sulla strada, sbevazzano l'aperitivo. Io mi nascondo sotto la sciarpa ma...
Se il controllore non avesse conosciuto l'autista avrei preso la multa, avrei perso il treno, sarei passata un'ora dopo e lui non mi avrebbe vista. Non mi avrebbe scritto. Non ci saremmo visti. Non ci saremmo parlati. Non...
Chi l'avrebbe mai detto. Parlare e passeggiare con le mani in tasca lungo il lago, immersi nel suo elemento. Giocava in casa ma era nervoso lo stesso, visibilmente teso. Io no. Stranamente serena. Rilassata. Mi riflettevo nei suoi occhi, un pò lusingata e un po'spaventata dai suoi sguardi e dalle sue parole. Ricorda delle cose che io ho rimosso. Ricorda solo le cose belle. Io no. E non è cambiato. Per niente. A parte che ha messo su 15 kg. Di muscoli. Sembrava fossimo tornati indietro di tanti anni. Sembrava davvero di rivivere quel pomeriggio di ottobre del '99. Ci sentivamo diversi, ma uguali. Le coppie di amici si sono sposate; figli in arrivo; case. Sono lontanissima, sono regredita davvero di 7 anni. Però sto facendo quello che dovevo fare sin da allora. Lui ancora mi racconta quello che vorrebbe fare, e sono le stesse cose di 7 anni fa.
Non lo so.
Il mio diavoletto sulla spalla mi urlava sconcezze pungendomi gli ormoni con la sua forca; l'angioletto piangendo mi supplicava di non fare altri guai, di non fargli ancora del male.

"Siamo adulti e vaccinati, ormai, no?"
"si, ma... Errare è umano, perseverare è diabolico!"
"Con te mi sento diabolico."
"..."

Boh.

Giovedì, davanti alle farfalle barilla con il sughetto della mamma, la Vale decide che devo portarla a Venezia. Devo finirla con le mie cazzate. Affrontare la realtà, lo dicono anche i tarocchi, zio cane. Ora o mai più. Facciamo giovedì prossimo, dai. No. Adesso. E inizia a sparecchiare. Impallidisco. Posso fare la doccia? No! Subito. E' già tardi. Come può essere tardi per una cosa che non ha un programma? E' tardi. Basta. Il caffè? Mettiti la giacca. Così. Mi trascina a piedi in stazione. Ho lo stomaco in subbuglio: mi hai fatto andare di traverso anche il pranzo, cazzo. Ma smettila. E sul treno non la smette di parlare. Io vorrei chiudermi in silenzio religioso. La catarsi. Spurgare fuori la malattia di Von Aschenbach. Seguire i percorsi sensoriali di Scarpa, con le dita sulle ringhiere dei ponti ed il naso attento. Ma lei è un tornado. Non presta attenzione.
Venezia è spettrale, deserta, magnifica. Piazza San Marco è un pò confusa nella foschia. Silenzio. Non so lei cosa ha colto. Non la può sentire come la sento io. Il suono asimmetrico dei miei passi, che mi fa impazzire, perchè non vorrei far rumore. Vorrei scivolare, lenta e invisibile. Cercare pace. Ed avere qualche senso in più, da aprire. Ma non sento niente e non sucede niente. Così mi convinco, ma solo per quell'istante che occorre a premere un tastino, che devo avvalermi della tecnologia. E funziona. Magicamente Andrea compare alle mie spalle. E non me lo ricordavo così. Davvero, nella mia mente era diventato... Così. Una specie di Krampus, era diventato... Rido. Mi ha fatto tanto bene al cuore, rivederlo. Tutto qua. Così semplice.

Varie ed eventuali.

Anzitutto: oooh là!

Esco di casa e vengo morbidamente avvolta da indiepop. C'è lo sciroccato col furgone wolksvagen davanti al cambridge, con un pauroso colbacco russo peloso in testa e mezzi guanti peruviani, che guarda con occhi maligni il gregge di universitari. Mi hanno raccontato la scena apocalittica di lui che entra nel ben mezzo di una lezione di scienze della comunicazione. Si para davanti la cattedra trascinandosi dietro un bidone del pattume di quelli dei corridoi della facoltà. Tutti sgranano gli occhi, profio compreso. "C'è qualche universitario qui?" Urla. Tutti zitti. "Nessun universitario?" Silenzio. Poi il profio si prende di coraggio e lo invita cortesemente ad uscire... Un grande. Il Savonarola dei giorni nostri.

Mi accodo al Panda nell'apoteosi della nebbia. Verona è meravigliosa, inghiottita dall'aria carica di palline bianche. Le respiri. Le senti sulla faccia. Sull'Adige, sui ponti è fittissima, attutisce i rumori, ti porta in qualche dimensione felliniana, onirica.
Stanotte ho letto..."D'altro canto non fu una sopraffazione o un assalto di sorpresa, l'inverno arrivò dolcemente..." E' così.

17 novembre 2006

linee nere

e invece ci sono tutti.
il mondo è paradossalmente più tangibile con la nebbia fitta che non ti lascia vedere ad un palmo dal naso.
perchè la nebbia ti obbliga a prestare mille volte più attenzione e in quell'esercizio di concentrazione si scopre quanto nitida sia dentro noi la pianta della nostra vita.

seduta in aula pc vedo la mia prospettiva ad occhi chiusi di ponte navi.
conosco fin troppo bene, perchè l'amo, quella luce rossastra da nebbia.
sono rivolta all'angolo del ponte a sinistra e percepisco il semaforo ad ore tre. so che è rosso, perciò ascolto i clacson delle auto.
con la nebbia qualche volta non si vede nemmeno il parapetto.
ma vedo, come in una elaborazione grafica al pc, linee nere di contorni sovrapporsi alla fotografia pluridimensionale che immagino. sono i contorni architettonici e civili del ponte, è il lampione in tutte le sue sezioni, sono le auto che al passaggio acquistano i contorni del disegno tecnico, l'aiuola spatitraffico. i fiori, se guardassi verso Biasibetti.

ecco. c'è la nebbia. e io vedo tutto.
non si riesce a sfuggire alle linee.

16 novembre 2006

il Giaguaro

Invece c'è qualcuno che è davvero scomparso.
Puf.
Resta di lui solo un post da bar sport, vecchio di un mese, della serie ma dove andremo a finire, si stava meglio quando si stava peggio...
Forse non ha scritto più nient'altro perchè è stato rapito ed eliminato da luogotenenti nord coreani, prima che scrivesse le sue opinioni sulle vicende atomiche asiatiche; o forse sta volando attorno al globo terrestre, guadagnando giorni, e scrivendo post dell'altroieri, impalla Blogger; o più semplicemente, diciamo così, nottetempo ha trovato di meglio da fare, che attardarsi a fare dell'opinionismo gratuito.
Chissà.
Spero che stia bene.

Bankok mon amour

E così... La Biga già da otto giorni è laggiù in Thailandia. Nessuno ha sue notizie, ma non può che star bene. La Bagi ha sognato che i due turisti monsoniani si sposavano...
- In spiaggia, con corone di fiori tropicali e morbidi abiti indù??? ho chiesto io entusiasta.
- No, a colà.
- Ah. Vabbè.
Chissà se le nostre guide turistiche saranno servite...

08 novembre 2006

coincidenze

Vi ho già annoiato con le mie leggende metropolitane? Ma ne ho ancora...
Mi capitano assurde coincidenze.

Cerco online scatti di Fiorese, dopo che ho saputo che vuol curare una mostra sul lago di Garda, ed ecco che ieri esco da un caffè in corso Porta Nuova e me lo trovo di fronte: Fiorese. Me lo aspettavo più figo. Invece era un po appallottolato dentro ad un cappotto marrò e sembrava un personaggio di Scerbanenco. E io sorrido. Toh, Fiorese! Stava chiacchierando sul marciapiede con un tipo che pareva indiano, pakistano, boh.

Ho di nuovo incontrato lo strano tizio del treno. Ormai non me ne stupisco più. Sull'autobus. Aveva attaccato bottone con un vecchiotto e non lo mollava più. Parevano Ale e Franz sulla panchina, dove il tonto con la voce laconica era lui, davvero, anche la voce, uguale! ed il vecchiotto non sapeva più come levarselo di torno. Così non ho potuto fare a meno di ascoltare (per la verità mi sono fatta largo tra zaini e giacche a vento) il loro dialogo paradossale e sono venuta a sapere, tra un'assurdità e l'altra (-...un panino che costa 15 euro... -15 euro? impossibile, sarà 1,5 euro, non 15!!! -no, no, 15 euro. -Ma è carissimo! -Ma c'è dentro tanta roba. C'è dentro proprio tutto. Eh.) che questo tizio che mi perseguita (o sono io che perseguito lui?) è di Peschiera, abita in piazza d'armi "dove c'è la caserma", vale a dire il vecchio carcere militare austriaco.

Insomma, Verona è veramente piccola.

Venerdì notte, ore 4, rimaste abusive fra i reduci di una festa di laurea, io e la Eva chiediamo chi ci accompagna gentilmente verso Veronetta. Risponde un tizio. Tale Ciunga. Non gli daresti dieci centesimi, invece è un cazzo di ingegnere astrofisiconucleare, non so bene.
-Veronetta dove? anch'io abito a Veronetta.
-Via san francesco...
-Anch'io!!!
-Sopra alla copisteria...
-Anch'io!!!
Ci guardiamo stupiti ridendo.
-Ma allora sei tu che mi prepari la colazione tutte le mattine!
-Ma allora sei tu che tieni la musica a palla per non sentire i muratori!
-I muratori! Sono a casa mia.
-Sono dietro casa mia, attaccati. Mi si siedono sul davanzale...
Così ho conosciuto il mio vicino di casa.
E' stata una scena assurda, tutta la tavolata ascoltava rapita l'evolversi della vicenda e man mano che ci avvicinavamo, zoomando, al nucleo buono di casa mia (o nostra, a quel punto) che, abbiamo detto essere la lavatrice, man mano, dicevo, tutti ammutolivano e sgranavano gli occhi, per quanto fosse possibile data l'ora e la quantità di svariati alcoolici assunti.

Martedì apro la porta di casa, entro, e resto ammutolita, sporte in mano, a guardare. Ogni settimana c'è qualche novità. Qualche puttanata in più. Dopo la tazza che suona la lambada sono arrivati il tappetino davanti al lavello, fatto a puzzle, in gommapiuma colori pastello, con coniglietti, dinosauri, farfalle ed altri simpatiche creature, poi è stata la volta dei sonagli alla porta, assolutamente inutili ed inutilizzabili, ma molto decorativi. Ora, allibita, guardavo la porta delle mie coinquiline. Premetto che giorni prima ero stata costretta a subire degli scatti fotografici inopportuni. Ecco. Sulla porta campeggia un poster storico di Che Guevara e, sotto, ci sono io, con occhi volpini che mi sto facendo su un cannone. Ora siete perplessi quanto me. Mi hanno iconizzata, forse. Stamattina a colazione ho dovuto leggere una letterina d'amore, per esprimere la mia opinione, prima che raggiunga il destinatario. Che carine. E poi gli amorazzi più vecchiotti o quelli esauriti sono perfino disposte a passarmeli, me li raccomandano. Sono proprio due angiolette.

03 novembre 2006

Ancora Fiorese.

Lui.

Mi chiedo a questo punto se non sia davvero una proiezione della mia mente... Vado al lavoro, in auto stavolta. Ferma al semaforo alla fine della tangenziale, pronta a partire in pole position, chi mi passa davanti, attraversando sulle strisce? Lui. Lo guardo sbigottita. Non è possibile. Non mi è mai capitato di incrociare nessuno con la stessa frequenza. Davvero non so spiegarmi questa forzata casualità. Ma lui si accorge, allo stesso modo, di queste stranezze? Possibile condividere puntualmente gli stessi percorsi, quando non sono mai nè meditati ne abitudinari? Incrociare i passi in punti diversi della città, in giorni ed orari fra i più disparati? Posso capire peschiera, ma a Verona...? Boh. Che sia il mio angelo custode? (Piuttosto sfigato, per la verità... Non erano tutti alti biondi e bellissimi? Perchè il mio è pelato e malaticcio?)

Sulle onde del dixan.

Ho i capelli del colore delle foglie. Forse in primavera germoglieranno teneri boccioli e nidi di passeri...


Qui la regina della casa, martona indiscussa, è la lavatrice.
Voci mescolate escono metalliche dalla radiolina, la mia pianta di basilico guarda fuori dalla finestra i grigi di novembre. E lei, al centro della casa, sotto i miei occhi pigri, opera misteriosa. Resto incantata e rapita a guardare oltre il vetro convesso dell'oblò i miei tessuti colorati rincorrersi mollemente, avvinghiarsi, immersi in nuvole calde di schiuma. Lei sprigiona un odore di buono, di casa, di coccole. E il suo ronzio discreto mi calma, mi conforta, mi fa compagnia. Con metodica lentezza rigira la sua pancia... o la sua bocca, non saprei dire. Perchè, se ci penso, lei non è un semplice elettrodomenstico, no. E' un oggetto erotico. E' un occhio, un'apertura allettante, una cavità conica, una vagina, in definitiva.
L'interno metallico ed apparentemente inospitale, una volta entrato in funzione, programma lana, mettiamo l'esempio, si muove languido e dolce, meravigliosamente accogliente, morbido di maglioncini pastello inzuppati caldi di perlana alla vaniglia. Un sogno.
E così immagino di essere dentro di lei, cullata nell'ammorbidente, abbracciata alle mie sciarpe, avvolta dal suo caldo umido che sa di buono. Un ritorno al ventre materno. Sensazioni da embrione. Suoni ovattati. Piccoli spiragli di luce tenue. Così.
Mi mette sonno, anche. La guardo amorevolmente bevendo il mio tè e so che dentro di lei starei bene, confortata e protetta. Imposterei un programma lungo, cotone bianco, magari, e lei mi garantirebbe almeno due ore di beatitudine assoluta. Abbandonerei le braccia, le gambe, la testa e le lascerei fare, nascosta al resto del mondo, dentro di lei.