26 febbraio 2008

It never entered my mind

Ascolto Miles Davis. Colpa di un film guardato per imparare l’inglese.
Potrei innamorarmi in questo istante, ma non ci sono che io nella mia isola blu.

Ogni tanto, anche spesso se capita, faccio vita sana. È bello. E mi piace sbadigliare senza il terrore di non avere il tempo per dormire.
Quando ero piccola svegliavo i miei la domenica mattina. Ora non vorrei mai dovermi alzare dal letto.

Domani vado a comprarmi il funghetto da camera. Blu o giallo? Rosso lo regalo.
Che colore?
La stanza è blu. Sarebbe ridondante?
Giallo bello luminoso. O rosso, come quelli che non si possono mangiare?
Li prendo tutti e tre. So già a chi regalarli. Uno ha la passione per i funghetti, l’altra compie gli anni.

Potrei davvero innamorarmi stasera, ora. Uau. It never entered my mind.
Non c’è nessuno: posso innamorarmi di una fantasia senza volto. Sono io a scegliere la voce e i capelli. Come le figurine di carta di quando ero bambina.
Gli metterei gli occhiali.. ma forse no. Senza, via.
Ha le mani da curare perché gliela metto io la crema. I piedi grandi.

Gli scrivo messaggi con le parole di Montale.
Non sa rispondermi, ma si sente e si vede che ad ogni mio messaggio gli sboccia un tulipano in petto.

Come un fiore lo vorrei. Chiuso finché non appare il suo sole. Non un girasole, però, troppo.

Asfodeli. Sono già sbocciati lungo le piste ciclabili, tra l’università e il canale.
Pioggia il mattino, sole la sera.

Lui sarebbe il sole tutto il giorno. La camicia di bucato, la maglietta di cotone plurilavata il fine settimana.
La giacca, ovvio, il casco sotto braccio. Forse la bici, ma seria.
Marrone, verde militare, sabbia, cachi. Cacciatore non di farfalle, ma di foglie d’autunno.

Autunno a New York. Estate a Knosso.
Labirinti per perdersi. Attorcigliarci ad un filo e riscontrarci.

Oggi ho capito che se scavo posso portare alla luce della forza di volontà. Non è pesante scavare. Quello che mi risulta difficile è mettermici.
Oroscopo fatto da me, Acquario.

11 febbraio 2008

Strano. Mi sento felice di andarmene ora, tanto quanto ero felice di essermene andata quasi due anni fa. Ho la sensazione che non sia cambiato niente, che il cerchio si sia chiuso senza variazioni apparenti. E ritorno al via con le stesse cose che avevo prima, anzi, meno. Meno amici, meno sicurezze, meno slancio. Meno idealismi e meno buoni propositi. Sò quello che non sono. Sò quello che non si può pretendere da me. I miei limiti. E' vero, diceva un film ieri sera che passando il tempo si riducono le tue potenzialità, si stringe il tuo raggio d'azione e si definisce chi sei, si autoeliminano tante ipotesi su chi potersti diventare, e infine resti solo tu, come sei. Non è tristemente riduttivo, è una progressiva raffinazione, mi pare. Fino ad arrivare ad un tuttotondo, serico, lucido, finito. Avere la consapevolezza di sè, di chi si è, potrebbe essere un dono, un vantaggio. Essere "compreso nei propri mezzi". A questo penso. A chi sono e a quali sono i miei mezzi. E a come usarli per ottenere che cosa. Ho delle vaghe idee in proposito. Dovrei essere in una qualche fase di inizio, ma non sento energie potenziali. Gli eventi si succedono senza consequenzialità. Anche avendo le domande giuste, non arrivano risposte.

08 febbraio 2008

nuovo olfatto. (sarà la fine degli special k? in effetti qui costano davvero un po' troppo)

Ho iniziato il secondo semestre. Di già.

Sono rimasta sola, ma non mi sento sola.

Mi trovo bene. Sto bene. Si vive bene qui.

Mi è tornato l’entusiasmo col quale ho fatto domanda per l’Erasmus: la voglia di partire, di lasciarsi la noia alle spalle (stavo studiando latino!), la voglia di vivere lontana, la voglia di mettermi alla prova in modo sicuro (cercarsi un lavoro, ad esempio, è un modo non sicuro di mettersi alla prova).

Provare a ricominciare da zero, anche se solo per gioco, con la consapevolezza triste che prima o poi si deve tornare a casa.

Se né andata, però, quella cattiveria, qual senso di amarezza, la sensazione di pieno e vomito. Ora sto meglio.

Quel periodo non stavo bene. Orribili strascichi nell’umore e nel corpo. Mi sono accorta tardi che non era il modo giusto di vivere le cose.

Ora sono pronta a bruciare l’armadio dei miei scheletri, anche se l’inconscio sembra ripropormeli con sogni commoventi -ma inutili-.

Faccio un auto da fé e poi, invece di bruciare me, mando sul rogo loro. Se farò la brava e non mi coglieranno recidiva, sarò salva fino al giudizio universale. Almeno per gli anni passati. Agli anni a venire penserò domani.

Bruciano ancora? Non più. Ormai sembrano passati. Mi impegno a capire che i momenti del passato non si riproporranno più, non tanto per una qualche legge statistica (che, mi insegnano, va sempre interpretata leggendone i parametri), quanto perché è umanamente impossibile. Anzi, naturalmente impossibile.

C’è solo quello che non c’è stato che potrebbe essere.
E poi che gusto c’è nel voler provare ancora una volta quel che si è avuto e che con ogni probabilità si è guastato nel tempo?

Devo aver voglia di cose nuove!

Smetto di intrecciare catene romantiche che immalinconiscono solo me.


Allora ricominciamo da zero (o "da tre?") Non proprio oggi. Facciamo da mercoledì sei febbraio, da quando ho avuto questo suggerimento: “anche se solo per gioco, cerca di cambiare qualcosa che hai sempre pensato di non poter cambiare”.
Allora, sull’onda dell’entusiasmo di avere un compito da svolgere in questi giorni di limbo e cogliendo la mia positività assolutamente priva di razionalità, mi ci applico.